Su Job il Magazine la storia di Antonio, delegato non vedente della Femca Cisl. La sua mission: informare i dipendenti su tutto quello che succede in azienda.
Quando la passione, le competenze e la forza di volontà sono più forti della disabilità. Antonio Di Benedetto, 49 anni, sposato, padre di una bambina di 7 anni, fa il centralinista ed è rappresentante sindacale della Femca Cisl milanese alla Famar, importante azienda farmaceutica di Baranzate con circa 130 addetti. Interviene alle assemblee, scrive comunicati da appendere alla bacheca aziendale, partecipa alle trattative, organizza mobilitazioni. E’ uno tenace, che non si tira mai indietro, che difende le sue idee. Antonio Di Benedetto ha, però, una particolarità: è cieco. Vive nel buio, ma (come dicono in molti) “vede” più lontano e con chiarezza di tante persone che non portano neppure gli occhiali. Ci incontriamo a casa sua, a Garbagnate Milanese. Sul tavolo ha un computer “parlante” da cui escono suoni quasi incomprensibili ad un orecchio non abituato. E’ il suo strumento di lavoro e di svago.
Da quanto tempo è non vedente?
Dal 1995. Sono nato con una malattia ereditaria degenerativa. Ipovedente fino a 25 anni, ho fatto le scuole superiori, il liceo linguistico, normalmente. Ma ho perso la vista del tutto intorno ai 26 anni.
Qual è stato suo percorso lavorativo?
Dal 1990 al 2001, fino al fallimento, ho lavorato per un’azienda tessile di Novate Milanese: prima, quando ancora vedevo qualcosa, stavo all’ufficio export, poi mi hanno spostato al centralino. Chiusa questa esperienza, mentre ero in mobilità, mi sono iscritto ad un corso di formazione per operatore di call center riservato a disabili. Un corso di 7-8 mesi finanziato dal Fondo sociale europeo e dalla Fondazione Adecco. Alla fine delle lezioni, Adecco mi ha inviato alla Famar, dove ho fatto tre mesi di stage. Quindi, scaduta la mobilità, a settembre del 2002 sono stato assunto a tempo indeterminato. L’azienda aveva aperto un centralino con più di cinque linee ed era obbligata per legge ad assumere una persona non vedente.
Qual è la sua mansione?
Il mio lavoro consiste nel rispondere alle chiamate e nello smistarle tra i vari uffici. Gestisco anche la posta elettronica attraverso un software particolare, un sistema di screen reader vocale, che gira su Windows e che ho anche sul computer di casa. E’ come se lo schermo mi parlasse. Le parole prendono letteralmente voce. Il software legge tutto ciò che compare sullo schermo e tutto ciò che digito sulla tastiera. Lavoro sei ore al giorno, indicativamente dalle 8 alle 14.45, tranne il venerdì che esco un’ora prima.
Quando ha incontrato il sindacato?
Diversi anni fa. Nell’azienda tessile poi fallita ero delegato della Cgil, tanto che ho seguito da vicino tutte le fasi della liquidazione. Passato alla Famar, fino al 2013 non sono stato più iscritto a nessun sindacato, anche se partecipavo a tutte le assemblee e facevo i miei interventi. Ad un certo punto l’azienda ha avuto qualche difficoltà e ci ha tolto il contratto integrativo con la minaccia della chiusura. Questa cosa non mi è piaciuta e allora ho deciso di impegnarmi direttamente. Ho contattato il funzionario della Cisl e ho visto che c’era sintonia. Così mi sono candidato alle elezioni per le Rsu (Rappresentanze sindacali unitarie) e sono risultato primo eletto.
In cosa consiste la sua attività sindacale?
Essenzialmente nel cercare di informare il più possibile i lavoratori su tutto quello che accade in azienda e quindi evitare che si prenda per oro colato ciò che dice la dirigenza. La Famar ha subito varie vicissitudini negli ultimi tempi. Da multinazionale di proprietà di una famiglia greca, con ramificazioni in tutta Europa, è oggi nelle mani di un gestore, un Fondo che risana i bilanci delle imprese. Il nome del gestore ho dovuto recuperarlo io facendo ricerche su Internet, perché l’azienda non ha voluto rivelarlo. Grazie al software che le citavo prima posso usare il web come se vedessi. Le dirò di più: il computer ho imparato ad usarlo da non vedente.
Cosa rappresenta per lei il sindacato?
Io parto da un presupposto: come lavoratore spendo un terzo della mia giornata in azienda e quindi non posso accettare di farmi scivolare addosso quello che succede lì dentro. Il sindacato serve a migliorare le condizioni di lavoro, a tutelare le persone, a creare comunità. Ed è anche una bella occasione di impegno. Io sono un curioso, mi piace discutere, confrontarmi. Seguo molto anche la politica, ma non ho nessuna tessera.