IMPRESA SOCIALE
Il Terzo Settore alla prova della riforma

Una realtà economica (70 miliardi di fatturato annuo) e sociale (miglia associazioni, enti, cooperative) che spazia dall’ambiente, alla cultura, ai servizi alla persona. I numeri, i pareri, le esperienze. UN'INCHIESTA DI JOB

Nel numero di Job in questi giorni in distribuzione e già disponibile su www.cislmilano.it e www.jobnotizie.it si parla di Terzo settore, cooperative, impresa sociale alla luce della Riforma in piena fase di attuazione.

La riforma del Terzo settore è il  risultato di un intenso lavoro durato tre anni. Partita a maggio 2014 con la consultazione online promossa dal Governo, due anni dopo si è conclusa la prima fase con la pubblicazione della legge 106 “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale” del 6 giugno 2016. Poi, il 28 giugno 2017, dopo un anno dall’approvazione della legge, il Consiglio dei ministri ha chiuso la seconda fase con la pubblicazione dei decreti delegati: Codice del terzo settore (Dlgs. n.117), revisione dell’Impresa Sociale (Dlgs n. 112) e meccanismo del 5 per mille (Dlgs. n.111), mentre quello relativo al servizio civile universale era già passato il 6 marzo 2017 (Dgls. n.40).

Per quello che molti definiscono come il suo ‘architetto’,  il sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, On.le Luigi Bobba – di cui pubblichiamo un contributo all’interno di questo focus – questa deve essere vista come un punto di arrivo, ma anche di partenza, perché da ora comincia il cammino attuativo ”. La riforma interviene sia sul  profilo civilistico che fiscale attraverso  una normativa quadro e  pone le basi per il rilancio dell’impresa sociale come volano di crescita economica.

Inoltre, segna la nascita del Servizio civile Universale come esperienza formativa e di impegno civico per i giovani che vogliono dedicare un tempo della loro vita al servizio della comunità e dei soggetti più deboli. Il  traguardo raggiunto è senz’altro significativo ed è stato  reso possibile anche grazie all’impegno profuso dalle molte Amministrazioni coinvolte e al contributo delle organizzazioni di Terzo settore. L’obiettivo principale è stato quello di procedere al riordino e alla revisione organica della disciplina degli enti del Terzo settore, in quanto, nel tempo era venuta stratificandosi una ampia mole di provvedimenti normativi,  non sempre coordinati fra di loro, che hanno generato progressivamente sovrapposizioni e disfunzionalità.

La riorganizzazione della  legislazione, primaria e secondaria, affinché fosse effettivamente ispirata all’articolo 118 della Costituzione della Repubblica italiana: “ Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà ”,  è stata la bussola che ha orientato il lavoro del Governo e del Parlamento. Centrale è il ruolo giocato dal registro unico nazionale del Terzo settore: qui dentro tutto il mondo del profit e no profit dovrà ‘trasmigrare’ entro il gennaio del 2019, ossia l’ultima data utile per adeguare i propri statuti.  Chi non vi sarà iscritto non potrà, infatti, usare la definizione ente di Terzo settore e non potrà accedere alle agevolazioni e ai benefici fiscali previsti nel Codice. Il Registro previsto dalla riforma del Terzo Settore ha inoltre un’altra finalità, prevedere l’introduzione di meccanismi di trasparenza e di rendicontazione.

La Riforma del Terzo Settore è un percorso in divenire, a fine febbraio c’è stato l’insediamento del Consiglio nazionale del Terzo Settore, organismo di controllo previsto dalla riforma, mentre sono di fine marzo una serie di correttivi tesi a migliorare il coordinamento della normativa nazionale e regionale, anche sulla base delle osservazioni formulate dai soggetti portatori d’interesse di riferimento.  La novità più importante riguarda gli obblighi contabili, che saranno proporzionati alle dimensioni degli enti di terzo settore. Anche il decreto sull’impresa sociale è stato oggetto di un correttivo che ha preso in considerazione in primo luogo i volontari che operano al loro interno, introducendo limiti più stringenti al loro impiego che dovrà essere “aggiuntivo” e non sostitutivo a quello dei lavoratori. In altre parole è un lavoro che prosegue e molto si giocherà rispetto ai decreti attuativi della riforma. Si pensi, per esempio, anche al tema del 5% per accelerare i tempi per il riconoscimento dei soldi dei contribuenti.

Un arcipelago di 336 mila enti, che creano un valore economico di 69,3 miliardi. I numeri del Terzo Settore

L’ultima fotografia scattata sull’arcipelago non profit in Italia è relativa al Censimento permanente delle Istituzioni non profit con i dati aggiornati al 31 dicembre 2015. Sono 336.275 le istituzioni non profit attive in Italia che impiegano 5 milioni e 529 mila volontari e 788 mila dipendenti. Nel 2011 (dati Istat) si parlava di oltre 300 mila organizzazioni con un giro d’affari di oltre 70 miliardi di euro, a e tra dipendenti e volontari, oltre 5 milioni di persone.  Insomma, i numeri continuano a crescere. Tanto è vero che sempre in confronto al 2011,  il numero di volontari è cresciuto del 16,2 per cento, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati del 15,8 per cento. Si tratta quindi di un settore in espansione, in un contesto economico caratterizzato da una fase recessiva profonda e prolungata (2008-2013) e da una successiva ripresa (2014-15). Le istituzioni che operano grazie all’apporto di volontari sono 267.529, pari al 79,6 per cento delle unità attive (più 9,9 per cento rispetto al 2011); quelle che dispongono di lavoratori dipendenti sono 55.196, pari al 16,4 per cento (più 32,2 per cento rispetto al 2011).

La distribuzione territoriale conferma un’elevata concentrazione nell’Italia settentrionale (51 per cento del totale nazionale) rispetto al Centro (22,5 per cento) e al Mezzogiorno (26,5 per cento). La Lombardia e il Lazio sono sempre le regioni con la presenza più consistente (15,7 e 9,2 per cento), seguite da Veneto (8,9 per cento), Piemonte (8,5 per cento), Emilia-Romagna (8 per cento) e Toscana (7,9 per cento). In media, sono organizzazioni con 16 volontari e due dipendenti.

Per quanto riguarda il fatturato il Terzo Settore è composto per lo più da realtà medio piccole con bilanci annuali inferiori ai 500mila euro, nell’ordine: un terzo (33,1 per cento) ha bilanci annuali inferiori ai 5 mila euro; un altro terzo (34,3 per cento) si colloca nella fascia tra i 5 mila e i 30mila euro; solo il 4,5 per cento presenta bilanci superiori al mezzo milione di euro. Infine i due terzi dei finanziamenti su cui si reggono i soggetti del Terzo settore derivano da risorse private e solo un terzo dalla pubblica amministrazione.

LA RIFORMA IN PILLOLE

* Le finalità della legge delega . Il testo prevede che il Governo adotti, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi volti a sostenere la libera iniziativa, personale e associativa, finalizzata al bene comune, all’incremento dei livelli di coesione e protezione sociale e all'inclusione e il pieno sviluppo della persona. Sono esclusi i partiti politici, le fondazioni bancarie, i sindacati, gli organismi di rappresentanza professionali e categoriali.

* Criteri Generali cui devono uniformarsi i decreti attuativi della legge delega: la garanzia del più ampio diritto di associazione, promozione dell'iniziativa economica privata svolta senza fini di lucro, riconoscimento dell’autonomia statutaria degli enti.

* Diventa più semplice il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica. Obiettivo è fare emergere realtà medio-grandi, incoraggiandole ad assumere personalità giuridica.

* Un Codice per il Terzo Settore che raccoglierà la disciplina in materia dopo l’entrata in vigore di tutti i decreti delegati. È evidenziata la necessità di istituire un Registro unico del settore in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Solo tramite l’iscrizione al registro si potrà accedere ai benefici fiscali.

*  Istituzione del Consiglio nazionale del Terzo settore, quale organismo di consultazione degli enti del Terzo settore a livello nazionale ,  la cui composizione deve valorizzare il ruolo delle reti associative di secondo livello.

* Rilancio dell’impresa sociale l’articolo 6 si propone l’obiettivo di rilanciare l'impresa sociale, istituita nel 2006. A questo proposito lo status di impresa sociale è esteso alle cooperative sociali e ai loro consorzi.

* L’attività di controllo, monitoraggio e vigilanza è in capo al Ministero del lavoro, in collaborazione con i ministeri interessati e con l’Agenzia delle entrate.

* Servizio Civile Universale. L'articolo 8 sottolinea la necessità di riformare il Servizio civile nazionale volontario per i giovani tra i 18 e i 28 anni, traghettando l’attuale sistema verso un nuovo “servizio civile universale”. Il Servizio civile universale è  aperto anche agli stranieri presenti in Italia con regolare permesso di soggiorno.

* Fiscalità e 5 per mille obiettivo è un raccordo tra la disciplina civilistica e quella tributaria, Prevista anche, in favore degli enti, l’assegnazione di immobili pubblici inutilizzati, nonché dei beni immobili e mobili confiscati alla criminalità organizzata. L’articolo delega inoltre l’Esecutivo a riformare la disciplina del 5 per mille. Già nella Legge di stabilità 2015 si era proceduto ad innalzare il limite per la deducibilità e la detraibilità delle erogazioni liberali e a stanziare 500 milioni di euro a sostegno di questo strumento.

*Fondo dedicato è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo articolato in due sezioni (*la prima di carattere rotativo, con una dotazione di 10 milioni di euro, la seconda di carattere non rotativo, con una dotazione di 7,3 milioni di euro) destinato a sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale attraverso il finanziamento di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni.

*Nasce la Fondazione Italia con una dotazione di 1 milione di euro, allo scopo di sostenere, mediante l'apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali, la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore.

*Maggiore controllo da parte del Parlamento: ogni anno il Governo deve entro il 30 giugno trasmettere alle Camere una relazione sull’attività di vigilanza.

LA PAROLA AGLI ESPERTI

Una legge all'avanguardia in Europa

*contributo a cura di Luigi Bobba

La Riforma del Terzo Settore, il cui architrave è costituito dal Codice del Terzo settore , prevede  per la prima volta, l’introduzione di una definizione giuridica di Terzo Settore, una “carta d’identità” che aiuta a configurare e tracciare il perimetro di questo variegato e multiforme universo.  Una importante scelta riguarda l’istituzione di un Registro Unico del Terzo Settore, gestito su base regionale, che  ha l’obiettivo di facilitare la conoscibilità degli enti di Terzo settore aumentando, al contempo, la trasparenza per tutti gli stakeholders di riferimento.  Altre due rilevanti novità riguardano i Centri di Servizio per il Volontariato - che  diventano dei veri agenti di sviluppo dell’azione volontaria  - e l’istituzione delle Reti associative preposte a svolgere  una funzione  di promozione e monitoraggio delle attività svolte dagli  enti associati.

In tema di misure fiscali e di sostegno economico, questa Riforma è intervenuta attraverso una profonda razionalizzazione e semplificazione dei regimi contabili – precedentemente frammentati in oltre cento diversi riferimenti normativi-; in secondo luogo, con l’innalzamento delle percentuali e dei limiti di detraibilità delle erogazioni liberali in favore degli enti di Terzo settore, con l’obiettivo di incoraggiare  un maggior trasferimento di risorse monetarie da parte dei contribuenti verso gli stessi enti. Sul tema del 5x1000,  si è puntato ad ancorare l’accesso al beneficio attraverso l’iscrizione al Registro unico del Terzo settore,  a snellire e velocizzare le procedure di erogazione del contributo,  ad aumentare la trasparenza tra soggetti beneficiari,  contribuenti e amministrazione pubblica.

Un elemento di assoluta novità è rappresentato dall’introduzione,  del concetto di finanza sociale  che, all’interno del Codice del Terzo settore, trova espressione nella normativa sui “ titoli di solidarietà” e del “ social lending ”, che puntano a incentivare l’accesso al credito da parte degli enti di Terzo settore.  Sempre sul fronte delle agevolazioni economiche e degli incentivi fiscali, è stato introdotto il “ social bonus ”, consistente  in un robusto credito d’imposta (fino al 65% di detrazioni dell’imposta) a favore di contribuenti che effettuano erogazioni liberali per sostenere  organizzazioni  impegnate nel ristrutturare beni immobili pubblici inutilizzati o confiscati alla criminalità organizzata, per destinarli allo svolgimento di attività di interesse generale.

La nuova disciplina sull’Impresa sociale pone il modello di imprenditoria sociale italiano tra i più avanzati a livello europeo prevedendo l’ allargamento dei settori di attività in cui possono operare le imprese sociali,  nonché la possibilità di ripartire, seppure in forma limitata, gli utili di gestione. Questi soggetti sono potenzialmente gli agenti di quell’innovazione sociale senza la quale il nostro sistema di welfare non  riuscirà ad essere sostenibile e inclusivo.

Completato il processo di riforma ora si apre un'altra sfida in capo alle centinaia di migliaia di organizzazioni di Terzo settore sparse lungo tutto il territorio nazionale che dovranno fare propria la nuova normativa ed utilizzare al meglio le norme di carattere promozionale . Con questo nuovo quadro giuridico abbiamo creato una cornice di riferimento per tutti gli enti di Terzo settore, in modo che possano continuare a crescere e contribuire al bene comune del Paese.

Carlo Borzaga: riforma, un passo avanti. Ma non basta…

Laureato in Sociologia e quindi specializzatosi in Economia, Carlo Borzaga, è professore associato in Politica Economica dal 1986 e, successivamente, ordinario di Politica Economica, presso l’Università di Trento, Carlo Borzaga è uno dei principali studiosi della riforma del Terzo Settore.

La riforma del terzo settore è riuscita nella sfida di superare i limiti imposti dal Codice Civile?

Si, in gran parte. In realtà i limiti – in particolare quelli riguardanti la possibilità di  svolgere attività di impresa - erano già stati superati da tempo. Il Codice del Terzo Settore ha reso definitivo questo superamento per tutte le organizzazioni che possono e vogliono assumere la qualifica d Ente di Terzo Settore, seppur con gradazioni diverse per imprese sociali e altri enti. Intervenendo poi anche sulle modalità di gestione e di governance delle forme sia del libro primo che del quinto del Codice Civile e introducendo per tutte nuovi obblighi, la riforma istituzionalizza il Terzo Settore, gli attribuisce la stessa dignità dei settori lucrativo e pubblico e gli consente di scegliere tra qualsiasi forma organizzativa prevista dall’ordinamento.

Parliamo di impresa sociale, Si sarebbe potuto fare di più, soprattutto in spazi di sviluppo?

Si, si poteva e doveva fare di più. In particolare, oltre alla defiscalizzazione degli utili non distribuiti, era necessario prevedere misure di sostegno alla patrimonializzazione per tutte le imprese sociali e non solo per le start up, l’utilizzo agevolato di strutture pubbliche, l’utilizzo dei social bonus, un fondo per lo sviluppo. Invece queste misure sono state previste solo per gli enti non commerciali. E non convince la tesi secondo cui misure di sostegno più incisive avrebbero incontrato il veto della Commissione Europea visto l’atteggiamento di favore della stessa verso sperimentazioni in questo ambito.

Autonomia e controlli. Dentro alla riforma si è riusciti a trovare un punto di equilibrio?

Direi un quasi-equilibrio, nel senso che è aumentata l’autonomia, soprattutto a seguito del superamento del regime concessorio, ma in cambio di un eccesso di obblighi di rendicontazione e di trasparenza e di controlli interni ed esterni. In alcuni casi decisamente discutibili anche dal punto di vista della fattibilità, come per l’obbligo della valutazione di impatto che, oltre ad essere particolarmente costosa, può correttamente essere applicata a politiche e non ad organizzazioni. Mentre nello stesso tempo ci si è mantenuti molto leggeri sull’obbligo a dare spazio negli organismi di governo delle organizzazioni ai diversi portatori di interesse. E’ prevalsa ancora una volta la sfiducia e la paura che la riforma potesse favorire su larga scala chissà quali comportamenti opportunistici.

Lei parla di riforma del Terzo settore come un cantiere aperto. Perché ?

Con la riforma si è compiuto un primo fondamentale passo verso il pieno riconoscimento non di qualche nuovo soggetto, ma di un vero e proprio settore unito da obiettivi e modalità di azione comuni. Non si è però riusciti a superare l’ormai inutile frammentazione tra forme organizzative e a dotare il settore nel suo insieme di sostegni paragonabili a quelli degli altri settori. Finché non si realizzeranno almeno queste due condizioni, il percorso del Terzo settore, che va avanti dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, non può ritenersi concluso.

Luca Degani : troppo e troppo in fretta

‘La riforma del Terzo Settore? Personalmente mi vede scettico, perché sono state inserite delle modifiche piuttosto radicali che potrebbero avere ricadute negative su alcuni soggetti’. E’ molto cauto Luca Degani, avvocato, già docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Presidente di UNEBA Lombardia (Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale), nonché, membro del CdA di Fondazione Progetto Arca Onlus e Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica.  “Sono dell’avviso che siano state introdotte delle modifiche a livello fiscale e tributario che potrebbero nuocere”.

L’esperto punta l’indice sull’atteggiamento che in generale ha caratterizzato secondo la sua opinione la costruzione di questa riforma. “Si è probabilmente ecceduto con un approccio accademico senza guardare alla realtà dei fatti. Per esempio nell’articolo 79 della legge si dice che tutto ciò che viene organizzato in modo imprenditoriale è da considerarsi come un ente commerciale. E’ qualcosa di assolutamente nuovo. Questo implica, però, costi aggiuntivi, vedi l’IMU così come per talune realtà il rischio di perdere l’esenzione IRAP, il che non è poco”.

“E’ una visione troppo formale – taglia corto Degani – che deve essere rivista. Diversamente il rischio è di creare situazioni di danni potenziale”.  “Con questo – conclude l’avvocato – non voglio dire che in assoluto si tratti di un cattivo provvedimento. Senza dubbio i principi che ispirano questa messa a sistema della materia sono lodevoli, però, il timore è di essere andati un po’ oltre. Come per ogni riforma, comunque, in attesa degli ultimi decreti attuativi, c’è tutto il tempo per fare dei correttivi  così da farla andare pienamente a regime”.

19/04/2018
Fabrizio Valenti - fabrizio.valenti@tin.it
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