NUOVI MESTIERI
Per favore non chiamateli lavoretti

Sul numero in distribuzione di Job Diego Averna, racconta in dettaglio il mondo delle consegne a domicilio con particolare riferimento a Milano. L'organizzazione delle società e del servizio, i 'fattorini' sottopagati e pressoché senza diritti.

La quarta rivoluzione industriale (la così detta Industria 4.0) riguarda non solo le aziende manifatturiere, ma anche l’edilizia, la pubblica amministrazione e il settore dei servizi (vedi JOB di novembre). Ma, come diceva un delegato della Fisascat, l’innovazione sarà pure smart, ma non sempre lo è per i lavoratori dei servizi, settore in cui aumentano le aziende, ma spesso peggiorano le condizioni generali di chi ci lavora. Nella pancia della metropoli milanese si è annidata
una serie di lavori e di rapporti di lavoro assolutamente inediti. Dal 2015 hanno cominciato a svilupparsi i lavori di consegna a domicilio di pasti: è la così detta “food delivery”, che è una parte della gig economy. Tutto si basa su una piattaforma (che registra le richieste provenienti dai clienti e dai ristoranti), su un algoritmo
che propone le consegne e su una app in cui il rider (gig worker) riceve la proposta di consegna a domicilio.
La piattaforma è una macchina, l’organizzazione e gli algoritmi che la fanno funzionare sono scritti da umani: il lavoro di questi ultimi è creativo, ma il lavoro di chi cerca un piccolo reddito con quelle piattaforme che cos’è? La risposta è complessa. Questo sistema di lavoro basato su piattaforme non investe solo il food delivery, ma anche gli autisti (Uber), i baby sitter, i dog sitter e altre figure ancora. L’analisi contenuta nell’ultimo Rapporto Coop a proposito della gig economy, l’economia dei lavoretti online,

evidenzia un bacino d’utenza un po’ distante dal binomio “giovane e smart” cavalcato alle origini del fenomeno. In realtà la
quota di gig workers con un lavoro principale alle spalle arriva al 55%.Gli studenti non vanno oltre un caso su cinque (22%). Se poi si considera
che il 46% degli intervistati dal rapporto Coop conta una sola collaborazione, la forma di impiego assomiglia meno al freelancing e più a un doppio lavoro.
E qual è il rapporto di lavoro che lega questi gig workers? E quali i loro diritti e tutele? E’ tempo che la Cisl e la Fisascat analizzino il problema e lo affrontino.

Stefano Galli segreteria Fisascat Cisl Milano Metropoli

10/01/2018
di Diego Averna
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