STRANIERI
Le politiche sul fenomeno migratorio a Milano, tra diritti e responsabilità

Forum politiche sociali del Comune: l'intervento del responsabile immigrazione della Cisl, Maurizio Bove.

Permettetemi di iniziare il mio intervento citando le parole che Gabriele Del Grande, il noto regista del film “Io sto con la sposa”, che sta avendo grande successo a livello internazionale e che di recente abbiamo avuto il piacere di avere come nostro ospite, ha utilizzato come introduzione al suo blog “Fortress Europe”, da anni una delle poche fonti consultabili per conoscere il numero delle persone morte nel Mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste europee:


“Sei anni di viaggi nel Mediterraneo lungo i confini dell'Europa. Alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d'Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere”.


Il sito, che si basa sulle notizie censite negli archivi della stampa internazionale degli ultimi 26 anni, conta 21.439 persone morte lungo le frontiere dell’Europa dal 1988: i dati sono aggiornati al 4 ottobre 2014 e pertanto, come tutti noi purtroppo sappiamo, sono già superati.
Se dobbiamo parlare di responsabilità, non possiamo prescindere dal partire da una seria autocritica riguardo all’approccio fallimentare che l’Europa, e quindi anche l’Italia, hanno avuto fino ad oggi nella gestione dei flussi di persone che decidono di lasciare il proprio Paese alla ricerca di una vita migliore, per sé e per le proprie famiglie.


E' evidente, infatti, la necessità di definire con urgenza una politica europea comune e una visione complessiva sull'immigrazione, con la quale si abbandonino finalmente le soluzioni temporanee adottate per fare fronte alle continue 'emergenze” annunciate, che si ripetono ormai da anni, scaricando per altro sui Paesi limitrofi la responsabilità di fare fronte ad un fenomeno che da tempo ha assunto le dimensioni di un dramma non più sostenibile.


E' altrettanto vero, e lo sosteniamo da tempo, che occorre rivedere il regolamento di “Dublino 3”,  in modo da favorire una distribuzione dei profughi e richiedenti asilo che sia equa, sostenibile, ma che soprattutto tenga in considerazione il reale progetto migratorio di questi uomini, di queste donne e di questi bambini che, ormai lo hanno capito tutti, soltanto in una minima percentuale vogliono fermarsi nel nostro Paese, spinti invece dal legittimo desiderio di ricongiungersi con i propri familiari.


Ma tutto questo non basta. Forse è davvero arrivato il momento di dirsi che fino a qui abbiamo sbagliato tutto e che non possiamo più perdere tempo nel discutere sull'attendibilità di ipotesi più o meno fantasiose o strumentali sulla possibilità che i barconi siano stati inventati dallo stato islamico, come strumento di guerra contro l’Occidente, o che tra i disperati che lottano per sopravvivere nel tentativo di raggiungere le nostre coste si nascondano potenziali terroristi che puntano su Roma.


Forse, è finalmente arrivato il momento di ammettere che, per quanto sia stato unanime il riconoscimento per il ruolo ricoperto dall'Italia con l'operazione “Mare Nostrum” nel salvataggio di centinaia di vite umane, la soluzione del problema non può più essere ricercata nel decidere di quante miglia avanzare o retrocedere, per ragioni di mera sostenibilità economica, nell'andare a soccorrere i migranti.


Forse, bisogna finalmente prendere il coraggio di chiedere che i finanziamenti finora spesi nel continuo tentativo di innalzare inutili barriere per arrestare un flusso incontenibile di persone siano destinati ad una gestione diretta di una domanda che, per le continue crisi che sconvolgono le aree di provenienza, è in crescita costante e non deve più trovare come unica offerta i vari soggetti che lucrano con il “business dei barconi”.
Per contrastare il traffico criminale di esseri umani, quindi, l'unica soluzione è quella di intervenire direttamente nell'intero processo di gestione dei flussi, a partire dalle campagne di corretta informazione nei luoghi di partenza e di transito in merito ai rischi connessi con i viaggi irregolari, e da questo punto di vista le nostre sedi estere sono già impegnate in tal senso, fino ad arrivare al necessario incremento dei canali di accesso legali verso l'Unione Europea, sia per coloro che emigrano per ragioni economiche che per i richiedenti asilo, prevedendo per questi ultimi corridoi umanitari nei Paesi di origine e di transito.


E, per restringere l'obiettivo sul nostro Paese e su quanto accade in questi giorni nella nostra città, è urgente l'adozione di un “piano di asilo nazionale” che, attraverso un coordinamento centrale, superi la gestione emergenziale dell'accoglienza, con la quale per altro si corre sempre il rischio di essere permeabili al malaffare, e non disperda quanto di buono è stato fatto fino ad oggi da Associazioni ed Enti Locali.
Ma, ancora una volta, tutto questo è necessario, ma non sufficiente. Perché in un Paese dove vivono 5 milioni di persone di altre nazionalità e dove in alcune città, come per esempio la nostra, si registra la presenza di 260mila cittadini non italiani, con una densità che ha ormai raggiunto i 20 stranieri ogni 100 residenti, in un Paese dove quasi 800mila sono gli alunni stranieri, ma dove al contempo, prendendo come esempio la sola Lombardia, più della metà di questi è davvero difficile definirli tali, perché sono nati e cresciuti nelle nostre città, in un Paese, quindi, che nei fatti è già multiculturale, ma non ne ha ancora preso coscienza, con le sue norme inadeguate e anacronistiche, è giunto il momento di concentrarsi un po' meno sulla gestione degli ingressi, peraltro finora poco efficace, e maggiormente sulle politiche per l'integrazione, con particolare attenzione a chi in questo periodo vive situazioni di maggiore difficoltà.


Ed allora, dal momento che, nelle nostre sedi, dei doveri e delle responsabilità dei cittadini stranieri parliamo ogni giorno, orientando e assistendo chi proviene da altri Paesi e aiutando lavoratori e famiglie a districarsi tra le complicazioni della normativa e le lungaggini burocratiche, permettetemi di focalizzare il mio ragionamento sui diritti, che spesso, soprattutto in questo momento di crisi, diventa difficile esercitare.


A partire dal diritto al soggiorno, minato sempre più di frequente dall'indissolubile binomio che lega la permanenza legale in Italia al possesso di un lavoro regolare. I nostri uffici registrano da tempo un preoccupante incremento della cosiddetta “irregolarità di ritorno”, che colpisce tutti coloro che non riescono più a rinnovare il proprio permesso di soggiorno a causa di un prolungato stato di disoccupazione e che, pertanto, lungi dal fare ritorno nel proprio Paese e impossibilitati a tentare una sorte migliore oltre confine a causa del loro status di irregolari, ritornano appunto ai margini della nostra città, in una sorta di assurdo “gioco dell'oca” che li porta nuovamente ad alimentare il mercato del sommerso.


Ad aggravare la situazione, si aggiungono i recenti orientamenti della Questura milanese, che non solo ha deciso di applicare con inconsueta rigidità la normativa relativa al rinnovo del permesso di soggiorno, rigettando sempre più di frequente le istanze di chi non può dimostrare il possesso di una regolare occupazione, laddove fino a poco tempo fa teneva in giusta considerazione la particolare situazione che stanno vivendo, in generale, il mercato del lavoro della nostra città e, in particolare, i settori che vedono maggiormente impiegati i cittadini stranieri, ma addirittura ha pensato di avviare una personale campagna contro l'evasione fiscale, revocando in fase di aggiornamento i permessi di soggiorno di lunga durata, che per legge sono concessi a tempo indeterminato, a chi negli ultimi anni non è in grado  di dimostrare il regolare versamento dei contributi previdenziali.
Così come da tempo è difficile esercitare il diritto al ricongiungimento dei propri familiari, che al di là di una normativa sempre più restrittiva e dei requisiti che cambiano spesso da Regione a Regione o, addirittura, da un Comune all'altro, se pensiamo per esempio a quelli previsti per farsi rilasciare il certificato che attesta l'idoneità dell'alloggio nel quale si vive, sconta soprattutto i lunghissimi tempi di attesa per ottenere il nulla osta, che per quanto riguarda Milano si sono ormai attestati attorno ai dodici mesi, vanificando tutto il lavoro che negli anni scorsi era stato fatto da quella rete di Associazioni e Organizzazioni Sindacali che aveva contribuito in prima persona allo smaltimento delle pratiche arretrate.


Sempre riguardo ai ricongiungimenti familiari, gli ultimi dati riportati dalla Prefettura parlano di un numero costante di richieste, soprattutto relative ai bambini molto piccoli, a fronte di un drastico calo delle istanze relative ai figli con un'età superiore ai 14 anni, che invece avevano rappresentato una percentuale molto elevata negli anni precedenti. Come già detto, crediamo di poter individuare, in questa tendenza, una reazione delle stesse famiglie al fallimento di tale tipologia di ricongiungimenti, che in molti casi si sono conclusi con la scelta drammatica di rimandare i figli nel proprio Paese di origine.


Pensiamo quindi che ciò sia imputabile anche ad una assoluta carenza di specifici percorsi di sostegno ed accompagnamento ai genitori ed ai ragazzi che vivono questa esperienza e per questo riteniamo indispensabile che l’Amministrazione Comunale, in sinergia con le altre istituzioni pubbliche e i soggetti che operano in questo contesto, attivi percorsi anche di mediazione culturale, che agevolino e supportino le famiglie e contribuiscano all’accoglienza sociale delle ragazze e dei ragazzi, oltre che a sostenerli  nell’inserimento scolastico, onde evitare i frequenti casi di abbandono.


E, a proposito di ritardi, per quanto siamo consapevoli del fatto che, in questo caso, le responsabilità sono da imputare quasi totalmente al Ministero dell'Interno, non si può non citare la questione ancora più critica delle istanze relative al riconoscimento della cittadinanza italiana, con particolare riferimento alle richieste di naturalizzazione.


Al di là del ribadire la nostra posizione rispetto alla necessità di riformare una normativa ormai anacronistica, che privilegia il riconoscimento della cittadinanza ai pronipoti degli italiani emigrati un secolo fa piuttosto che a chi ha deciso da anni di vivere nel nostro Paese e di crescere qui la propria famiglia, e che insiste nel considerare come stranieri le ragazze e i ragazzi che sono nati in Italia, non è davvero più tollerabile che, dopo 10 anni di attesa per poter presentare la propria domanda di cittadinanza, se ne debbano aspettare almeno altri 4 per ricevere una risposta, a meno di non pagare Avvocati ben introdotti, e pare che almeno un paio esercitino la loro professione nella nostra Regione, che riescono incomprensibilmente a velocizzare i tempi di trattazione.


Per concludere, non posso che citare il diritto al lavoro, che per quanto riguarda i cittadini e le cittadine provenienti da altri Paesi sconta, anche nella nostra città, una serie di criticità  che devono essere affrontate con la massima urgenza. Nonostante l'ormai trito luogo comune, che di tanto in tanto qualcuno rispolvera, degli “stranieri che rubano il lavoro agli italiani”, abbiamo in realtà un mercato del lavoro ancora fortemente condizionato dal dualismo tra le mansioni dequalificate riservate ai lavoratori stranieri e i posti di lavoro appetibili per gli italiani, con contratti di lavoro, livelli di inquadramento e retribuzioni generalmente inferiori ed una possibilità di progressione di carriera pressoché nulla rispetto a quanto accade ai cittadini stranieri emigrati negli altri Paesi della Comunità Europea.


Siamo in forte ritardo, complice l'assenza di una normativa chiara e specifica, nel riconoscimento dei titoli di studio e nella valorizzazione delle competenze formali e informali dei cittadini che provengono da altri Paesi, che pertanto continuano a trovare occupazione, sempre attraverso i canali informali piuttosto che grazie all'intervento dei Centri per l'impiego, in quei settori tradizionalmente a loro riservati, ma che stanno raggiungendo un progressivo livello di saturazione anche in Regioni storicamente attrattive come la nostra, dove i dati attestano anche tra i cittadini di origine non italiana un livello di disoccupazione in crescita.


Sempre più rilevante, infine, il problema di chi perde il proprio lavoro e che, in assenza di efficaci politiche di ricollocamento, rischia di alimentare, come già detto, il numero degli ”irregolari di ritorno”. Anche a tale proposito, auspichiamo un intervento più incisivo del Comune di Milano sia in progetti di carattere più generale, come nel contrasto allo sfruttamento lavorativo, magari valutando l'apertura di uno sportello informativo presso il costituendo “Immigration Center” quale terminale della rete di Enti, Associazioni e Organizzazioni Sindacali costituitasi di recente in seguito alla firma in Prefettura di uno specifico Protocollo, sia individuando soluzioni a problematiche più specifiche, come quella delle assistenti familiari, che spesso lavorano in rapporto di convivenza e che, in occasione della perdita del loro impiego, si trovano anche senza una dimora.


Si tratta di criticità importanti, che devono essere affrontate traducendo in una maggiore concretezza quelle che, fino ad oggi, si sono rivelate, per lo più, dichiarazioni programmatiche e con la consapevolezza che per la maggior parte di questi “nodi problematici” la presenza dei cittadini stranieri non è la causa, ma semplicemente la “cartina di tornasole” che evidenzia con forza questioni che nel nostro Paese non sono mai state risolte.
Concludo, con una breve considerazione rispetto al citato '”Immigration Center”. Nell'ottica di favorire un avvicinamento e un’accoglienza della popolazione migrante più funzionali e ragionate di quanto non sia avvenuto fino ad oggi, continuiamo ad auspicare che non si rinunci a realizzare quell'idea che abbiamo sempre valutato come la parte più innovativa del progetto: l’inedita e più avanzata collaborazione tra i diversi soggetti istituzionali che sono coinvolti a vario titolo nel percorso integrativo dei cittadini migranti e delle loro famiglie.


Se il progetto è questo, le Organizzazioni sindacali confermano la disponibilità a  dare il proprio contributo e la propria esperienza nel costruire una rete effettiva, in grado di dare risposte chiare e concrete alle istanze collettive e individuali della popolazione migrante, in una logica di semplificazione delle procedure, trasparenza, interconnessione e uniformità nelle soluzioni che devono essere la cifra caratterizzante di una città che si vuole davvero “metropolitana”.

06/03/2015
Maurizio Bove - maurizio.bove@cisl.it
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