I dati dell'Unar raccolti nell'ambito del progetto DiversitàLavoro nei primi 10 mesi del 2012 confermani che 2 persone su 3 non riescono ad accedere al mondo del lavoro per motivi etnici, di orientamento sessuale, disabilità o religione.
La discriminazione razziale è un problema eterogeneo. Si tende a rendersene conto solo quando grandi nomi, come quelli dei calciatori, ne parlano e mettono in atto proteste che sono evidenti a tutti. Anche la discriminazione razziale sul lavoro è un fenomeno che non accenna a diminuire: lo confermano i dati dell'Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione) raccolti nell'ambito del progetto DiversitàLavoro nei primi 10 mesi del 2012: risulta infatti che 2 persone su 3 non riescono ad accedere al mondo del lavoro per motivi etnici, a causa del proprio orientamento sessuale, per la loro disabilità o per la loro religione.
Nonostante in Italia l’occupazione professionale di stranieri sia aumentata nel 2012 del 3,5% rispetto allo stesso periodo del 2011 (dati ISTAT), il lavoro sarebbe addirittura l'ambito in cui sono maggiormente diffuse le discriminazioni, ben più che nella vita pubblica. Un tema che, trasversalmente, interessa ormai ambiti differenti della nostra società. I recenti episodi di razzismo negli stadi italiani e l’avvento di Cécile Kyenge al Dicastero dell’Integrazione hanno acceso il dibattito e hanno fatto sentire ancor più l’urgenza di contenere ed eliminare gli episodi di discriminazione.
Anche il mondo del lavoro, tanto più in momenti di crisi economica come l’attuale, è investito da questo problema. A venire incontro a quest’allarme e a lanciare una provocatoria quanto utile proposta è la BP Academy, uno dei più autorevoli e innovativi progetti di formazione in Europa, guidata da Daniele Barbone, esperto di consulenze aziendali e unico rappresentante green italiano invitato a presenziare ai lavori del prossimo G20.
“Siamo nel 21esimo secolo e questo tipo di discriminazioni non dovrebbero più sussistere”– spiega Barbone – “ma dagli ultimi trascorsi, soprattutto in ambito sportivo, abbiamo pensato fosse necessario dare un nostro contributo per cercare di arginare un problema che affligge purtroppo la nostra società”.
Ecco, quindi le dieci regole stilate per superare il problema:
1. Tutti uguali, tutti diversi.
Una metafora per dire che il datore di lavoro deve controllare che i suoi dipendenti o collaboratori non tengano comportamenti che possono in alcun modo discriminare o comunque infastidire i colleghi o agiscano in modo discriminatorio;
2. Mea culpa. I responsabili dell’azienda
, Amministratori Delegati o Direttori Generali, sono i diretti responsabili degli atti discriminatori che avvengono in azienda. Non possono non sapere.
3. Le regole valgono per tutti
. Uniformare regolamenti ed eventuali provvedimenti disciplinari in modo equo e uniforme.
4. Comunicare è comprendere
. Migliorare i meccanismi di comunicazione all’interno dell’azienda per spiegare le differenze e comprendere i loro lati positivi.
5. Se non fai nulla contro, sei complice
. Sviluppare iniziative aziendali a favore dell'integrazione e contro ogni forma di discriminazione, con l’obbligo di denunciare ai vertici eventuali episodi di discriminazione di cui si è stati testimoni.
6. Assumo, dunque sei uguale
. Come per altro previsto da molte normative del lavoro, dettare linee guida chiare e precise sui colloqui e sulle assunzioni, soprattutto per le risorse umane, che eliminino qualsiasi sospetto di razzismo o discrimine.
7. Diverso, quindi utile
. Valutare i curricula e le storie professionali degli stranieri soprattutto per individuare specifiche competenze o esperienze che difficilmente si trovano in Italia.
8. Parlo, dunque ascolto
. Promuovere corso di lingua, usi e costumi del Paese ospitante come supporto all’integrazione aziendale di personale straniero.
9. Aggiungi un posto a tavola.
Mischiare, in aree deputate alle mense e al consumo di cibo, i lavoratori provenienti da diverse parti del mondo facendo condividere cibi e usanze differenti.
10. Giocando e ridendo
. Organizzare momenti di ritrovo o di gioco e distensione fuori dall’azienda per favorire l’integrazione di tutti i dipendenti.
Insomma un’iniziativa che, unita a corsi formativi ad hoc che BP Academy propone alle aziende, programmati con materiale didattico multilingue anche in lingua araba e cinese, per agevolare il personale proveniente da paesi diversi, può certamente aiutare a migliorare l’integrazione professionale nel nostro Paese. Tuttavia l’Italia non è il solo ad avere problemi in tal senso, visto che è un mal comune a tutta l’Europa. Non mancano infatti gli esempi, anche in Francia, come riporta l’autorevole quotidiano
Le Monde
, dove un cittadino con un cognome straniero deve inviare il triplo dei curricula per ottenere un colloquio di lavoro. Lo stesso vale per la supposta civilissima
Svezia
, recentemente percorsa da gravi tensioni interrazziali. Tutto il mondo è paese, basta che sia sempre più un paese… civile.