CAUSE DAI TEMPI BIBLICI
Mobbing, quando il lavoro c'e' e fa male

Dallo sportello mobbing della Cisl arrivano storie che sembrano di un’altra epoca. E invece chi il lavoro oggi ce l’ha, a volte è costretto a subire forti pressioni.

La mancanza di opportunità di lavoro è un serio problema; per i giovani, per le donne, per chi ha superato i 50 anni, per tutti; ma nessuno si chiede cosa accade dove il lavoro c’è?

Dal recentissimo rapporto Eurispes sappiamo che “solo l’8% degli intervistati dichiara di non essere sottoposto alla “pressione” di eventi psicologici a causa del lavoro, il restante 92%, seppur con modalità e intensità differenti, al contrario, riconosce sintomi di stress derivanti dal lavoro e dalle mansioni che svolge. Il 59,5% solo qualche volta, il 21,9% spesso, mentre il 10,6% addirittura sempre. Circa il mobbing lo definisce un fenomeno che, da semplice forma di repressione nei confronti di un lavoratore, si è ormai delineato come problematica complessa e il 23,5% degli occupati intervistati ne riconosce i sintomi, dichiarando di aver subìto almeno una volta forme di sopruso o persecuzione da parte del datore di lavoro.”

INDIETRO NEL TEMPO - Questi dati, pubblicati di recente, all’ occhio esperto dello sportello Disagio lavorativo/mobbing dell’ Inas Cisl appaiono già superati, oggi la situazione è senz’altro peggiore; il lavoratore sopporta la situazione assurda, sa di non avere altre opportunità di lavoro, per cui soffre, si affida ai psicofarmaci, ma sopporta. Praticamente torniamo addietro nel tempo quando, contro la monetizzazione della salute, si gridava “ la salute non si vende”, con una enorme differenza che chi ti rovina la salute oggi non sono sostanze chimiche, oggi ti fai male da solo al “persecutore”, o quantomeno a chi non interessa l’ articolo 2087 del c.c., è sufficiente iniettarti la modesta quantità di stress quotidiano ed il giuoco è fatto. Ciò  non toglie che il lavoratore, o la lavoratrice, possono sempre rivolgersi alla magistratura del lavoro sperando di trovare un giudice illuminato che applichi quella legge antimobbing che non c’è, ne esistono leggi regionali preventive se non in pochissime regioni, a volte con un poco di fortuna l’ azienda può essere condannata ad un più corretto comportamento. A completamento di quanto affermo pongo tre storie che illuminano la situazione del Paese: un delegato Cisl è reintegrato dal giudice ma l’ azienda è latitante; un medico denuncia che in un ospedale si moriva in modo “evitabile” e deve cambiar professione; una lavoratrice reintegrata viene rifiutata dall’azienda.

Fernando Cecchini

Sportello Disagio Lavorativo /  Mobbing INAS CISL ROMA

Annalisa, licenziata e non pagata dalla Mercedes

Dopo 18 anni di servizio Annalisa Cascioli, è stata licenziata con pretestuose motivazioni. Il licenziamento è stato impugnato e presentato ricorso al Tribunale che ha annullato il licenziamento ed obbligato l’azienda al reintegro. La Mercedes-Benz Italia non solo non ha reintegrato ma non sta corrispondendo le retribuzioni comunque dovute. Questa la sua ricostruzione:

«Nel 1994, dopo la laurea ed un master sono stata assunta con contratto a tempo indeterminato dalla MERCEDES-BENZ ITALIA S.p.A. azienda del gruppo Daimler AG (casa madre tedesca) . La Mercedes-Benz Italia, azienda del terziario, ha la sede principale a Roma in Via Giulio Vincenzo Bona 110.

Ho lavorato con professionalità e dedizione fino a Giugno 2011 quando sono stata improvvisamente allontanata dall’azienda per presunte ingiurie da me proferite nei confronti della stessa e, dopo un paio di settimane, sono stata licenziata per “giusta causa”.

Dal momento che il licenziamento è stato l’epilogo di una serie di vessazioni, il licenziamento è stato impugnato legalmente ed è stato presentato ricorso al Tribunale sia per l’illegittimità del licenziamento che facendo valere l’illegittimità di trasferimenti, demansionamenti e prevaricazioni varie.

Con sentenza del 28 settembre 2012 il Tribunale di Roma ha deciso l’annullamento del licenziamento e l’obbligo di reintegro oltre al risarcimento patrimoniale da parte dell’azienda nonché il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali ( sulle altre domande del ricorso la causa è ancora aperta).

Ad oggi l’azienda, dopo un iniziale risarcimento, seppur parziale ed inferiore al dovuto, relativo al periodo dal licenziamento alla sentenza, non solo non mi ha reintegrato ma non sta neppure pagando le retribuzioni mensili (ed i relativi contributi assistenziali e previdenziali) comunque dovute in quanto il rapporto di lavoro si considera come mai cessato. Per ottenere i pagamenti è stata avviata dal mio Avvocato una lunga quanto costosa procedura di pignoramento. Vi faccio presente che l’azienda non ha proposto appello e comunque la sentenza è immediatamente esecutiva.

Io vivo da sola ed ho sulle mie spalle un mutuo trentennale sulla casa che non potendo pagare sto rischiando di perdere in quanto la banca sta iniziando le azioni esecutive.

La mia salute, già compromessa a causa dello stress causato dalle vicende lavorative (sono in possesso di molte certificazioni di strutture sanitarie pubbliche nonché una certificazione di patologia legata al disagio da lavoro del Centro di Medicina del Lavoro dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma) si è ulteriormente aggravata per il protrarsi dello stato di inoccupazione e di indigenza economica.

Il probabile obiettivo di tale condotta dell’azienda è di farmi “ritirare” magari a fronte di qualche euro. È da denunciare la strategia adottata dalle aziende di medie dimensioni di eliminare il personale ancora lontano dall’età pensionabile (e quindi non rientrante nelle frequenti procedure di mobilità) attraverso pretestuosi licenziamenti (come nel mio caso) o, addirittura, spingendo i lavoratori alle dimissioni volontarie perchè sfiniti da continui abusi e violenze psicologiche. (Questi anni hanno visto un aumento esponenziale dei casi di disagio/stress/mobbing sul posto di lavoro. Dai dati raccolti sugli utenti dei tre Centri sanitari di Roma impegnati sul fronte del mobbing e del disagio lavorativo (il Centro per la Valutazione del danno biologico da patologie mobbing compatibili dell'Ospedale Sant'Andrea, quello dell'Azienda Sanitaria RM/D- Unità operativa Psicologia del lavoro e Centro anti mobbing- ed, ultimo nato, quello dell'Azienda Sanitaria RM/B) emerge come le vittime siano soprattutto lavoratori tra i 45 e i 50 anni d'età, impegnati nel terziario e in aziende private, con un livello d'istruzione elevato e per oltre l'80 per cento dei casi con un contratto a tempo indeterminato[Fonte SuperAbile Inail]).

Sono le persone come me e le famiglie a pagare per la cecità di troppo disinvolte politiche di assunzione protratte per anni e per il mero interesse del vertice aziendale di immettere “forze nuove” cioè giovani assunti con contratti “capestro”, retribuzioni bassissime e/o assunti tramite agenzie interinali.

Voglio farmi portavoce di tutte le persone che vivono la mia stessa situazione e che, anche se numerose, rimangono “casi isolati” per la meschina prassi delle aziende di licenziare “sparando nel mucchio” in modo da passare inosservate ai mass-media ed evitare le ripercussioni negative in termini di pubblicità e nei confronti dell’opinione pubblica, preservando la tanto indispensabile e preziosa “immagine”, come nel caso della Mercedes-Benz Italia.

La storia del delegato Cisl

Il giudice del lavoro di Paola, in Calabria, è intervenuto nel tema di licenziamento per giusta causa, confermando, con ordinanza del 25.3. u.s., una interpretazione pro lavoratore del nuovo art. 18 Statuto dei Lavoratori (come riformulato dalla L. 92/2012 - c.d. riforma Fornero).

La decisione trae origine dal ricorso presentato da P.G., dipendente della Società F.V.C.F. s.r.l., avverso il provvedimento di licenziamento per giusta causa senza preavviso, intimatogli per aver partecipato ad un corso di formazione, pur risultando quel giorno assente per malattia. Questo è accaduto perché il giudice ha riportato l’aspetto più innovativo della riforma del licenziamenti individuali, che attiene alla previsione delle garanzie contro il licenziamento illegittimo. In particolare, il nuovo art. 18 (comma 4) dello Statuto di Lavoratori, nell’ipotesi di licenziamento per giusta causa che sia dichiarato illegittimo, prevede la reintegrazione in azienda solo nell’ipotesi di insussistenza del fatto contestato (oppure – ma l’ipotesi è marginale - quando, pur effettivamente accaduto, sia sanzionabile con una sanzione conservativa alla luce delle espresse previsioni del CCNL o dei codici disciplinari applicabili).

Sostanzialmente al tribunale di Paola si è ritenuto che la tutela reintegratoria deve trovare applicazione non solo nell’ipotesi di insussistenza del fatto materiale…. ma altresì nell’ipotesi in cui, pur sussistendo il fatto nella sua materialità ed oggettività, lo stesso non sia configurabile quale inadempimento contrattuale ovvero difetti il requisito della intenzionalità e della colpevolezza”.

Il medico accusato di malasanità

Nazario Di Cicco ha iniziato il suo calvario 13 anni fa. La vicenda è nata dalla denuncia che in un ospedale si moriva in modo “evitabile”, pubblicata e firmata su un quotidiano prestigioso. In sequenza:

-l’ASL ha dichiarato che il suo medico era affetto da patologie (senza segni e senza sintomi);

-poi, quando Di Cicco ha partecipato ad una trasmissione televisiva nazionale, l’ASL gli ha sospeso lo stipendio(per “superamento del periodo di comporto” , in data indeterminata), lo ha dichiarato suo debitore (di una cifra indeterminata) e l’ha diffidato dal lavorare;

-infine, quando Di Cicco si è rivolto al Giudice e questi stava per pronunciare l’illegittimità di quei provvedimenti, l’ASL lo dichiarato guarito e l’ha licenziato, per “superamento del periodo di comporto” (in data indeterminata). La vicenda non è ancora giunta a conclusione e, visti i tempi della giustizia (prossima udienza: 2017), si presuppone che andrà molto più avanti, negli anni, quando il tempo avrà cancellato ricordi e persone. Il diretto interessato dice: «Se dovessi farcela e se dovessi “vincere” la causa contro il licenziamento, nella migliore delle ipotesi, dopo vent’anni dall’01.02.2001, potrei sperare di riavere la punizione irrogatami in forza del giudizio del collegio medico dell’ASL CE2, contro il quale ho potuto fare ricorso anche alla magistratura, che lo ha dichiarato illegittimo il 26.10.10: “perché la diagnosi è inesistente … perché basato sul nulla...” . Debbo aggrapparmi alla speranza di riuscire a riavere, dopo vent’anni, lo stesso provvedimento finalmente inappellabile e legittimo, perché emesso dalla Magistratura, perché la diagnosi è esistente perché basato su una malattia insorta, gradatamente aggravatasi (e con potenziale ulteriore aggravamento) nelle more dei processi giudiziari. Così, potrei essere buttato nuovamente nell’ASL CE a temere una nuova punizione, sempre per lo stesso motivo: ho denunciato».

03/05/2013
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