MULTINAZIONALI
Darty: vendi tutto e scappa (in Francia)

La catena di elettronica di consumo cede i suoi 20 negozi  al gruppo Dps-Trony, che assorbe  i 333 dipendenti. Mobilità e cassa integrazione per gli altri 126. Un altro caso di gruppi internazionali che abbandonano il mercato italiano perchè considerato poco 'profittevole'.

“Lasciate l’Italia o in tre anni perderete 45milioni di euro”. Sembra che il consiglio sia arrivato direttamente dai guru della Ubs, la famosa banca d’affari Svizzera. E così Kesa Eletricals, proprietaria del brand Darty (elettronica di consumo) non ci ha pensato due volte e ha annunciato, a distanza di 8 anni dallo sbarco e dopo l’annuncio di grandiosi progetti di sviluppo, la chiusura dei 20 negozi ancora rimasti dei 29 originariamente aperti sul territorio italiano. Un assaggio del dimagrimento lo si era avuto esattamente un anno fa con la chiusura dei 4 punti vendita di Brescia, Busnago, Moncalieri e Voghera, fortunatamente senza effetti traumatici sulla forza lavoro. Nell’estate 2012 altri 5 negozi chiusi a Milano Bicocca, Cinisello Balsamo, Padova, Mestre e uno dei due punti vendita di Torino; tutto con un esubero di 35 addetti e 14 apprendisti e messa in cassa integrazione del personale sui 20 negozi ancora aperti.  Ora la scelta radicale di riattraversare le Alpi e abbandonare il mercato italiano allo stesso modo con cui, appena qualche mese fa, è successo con quello britannico con la vendita della catena Comet. Situazione diversa, ma per certi versi simile, la situazione della Fnac (anch’essa francese) che ha venduto i negozi italiani alla Orlando Italy, gruppo specializzato nell’acquisti di aziende in crisi. Ci sono poi Garmin (quella dei navigatori) che ha dichiarato 17 esuberi su 52 dipendenti. Anche Euronics non è messa bene e si potrebbe continuare.

STRATEGIE DA MULTINAZIONALI

Del resto le multinazionali fanno così: di fronte alla crisi che avanza si ripiega progressivamente per difendere le roccaforti del paese d’origine. Nella Grande distribuzione questa tendenza riguarda più o meno tutti i comparti commerciali e le aziende di tutte le dimensioni: è stato calcolato che dal 2011 il 64% delle imprese italiane ha una struttura finanziaria a rischio o vulnerabile. E se per le aziende tutto questo significa meno fatturato e perdita di quote di mercato, per i lavoratori interessati il rischio è la perdita del posto. L’unico dato certo, per il momento, è che il 27 dicembre è partito l’orologio della mobilità (la lettera è arrivata a tutti i 462 dipendenti di Darty Italia): 75 giorni di tempo per trovare una soluzione. «Fortunatamente  - spiega Assunta Caruso della  Fisascat-Cisl che sta seguendo la vicenda – una via d’uscita per la maggioranza dei lavoratori, 333 per l’esattezza, c’è». La soluzione si chiama Dps già presente sul mercato dell’elettronica di consumo con 45 punti vendita, che sarebbe pronta a rilevare i 20 attualmente di Darty , dipendenti compresi. Dps è socio di riferimento del gruppo Trony, il nuovo marchio che sostituirà quello francese. Per facilitare l’operazione Darty entrerà in Dps con il 15% (controvalore 3 milioni di euro). «Noi siamo pronti a favorire questa soluzione – prosegue Caruso- ma bisogna tener conto anche dei lavoratori che rimangono fuori dall’accordo con Dps che comunque va perfezionato. Mi riferisco in particolare agli apprendisti e al centinaio di dipendenti dell’attuale sede centrale di Darty a Paderno Dugnano, che non rientrano nei piani dell’acquirente che è già dotato di servizi amministrativi e commerciali propri». La soluzione per chi non passa con Dps-Trony passa attraverso una serie di ammortizzatori sociali che il sindacato sta cercando di attivare. I tempi sono stretti: entro fine febbraio deve essere trovata una soluzione per tutti. Le valige di Darty sono pronte per il rientro in patria.

12/02/2013
Jacopo Mattei - info@jobedi.it
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