LA SCRITTRICE
Un libro per le donne che vincono (in ombra)

A oltre un anno dal lancio di Anna e i suoi miracoli abbiamo fatto un bilancio con l'autrice che per primi ospitammo sulle pagine di Job. Il volume è diventato un piccolo caso editoriale. Che ha fatto discutere uomini e donne.

«Come mi disse Paola Borboni a teatro anni fa, per fare bene un mestiere ci vuole tanta salute». E di entusiasmo e salute Cinzia Alibrandi, neo-scrittrice a 50 anni che proprio noi di Job tenemmo a battesimo un anno e mezzo fa, ne ha tanta. Il suo Anna e i suoi miracoli (Armando Siciliano Editore) ha venduto bene per essere l’esordio di una scrittrice italiana che per lavoro insegna italiano in un liceo milanese. «Su Job ho avuto la mia prima recensione – ci dice alla vigilia dell’ultima presentazione del romanzo, ad Arona, domenica 2 dicembre alle 19 al Guinness
Bistrot – e mi avete portato fortuna».

Il suo romanzo è una storia al femminile che però è uno spaccato relazionale che colpisce tutti. Dopo aver pubblicato il libro è cambiato qualcosa in come vede le cose in merito?

Molti lettori mi hanno scritto segnalandomi opinioni, idee, sensazioni che la storia aveva trasmesso loro. Questo è stato possibile perché, anche contro il parere iniziale dell’editore, ho stampato a chiare lettere il mio indirizzo e-mail sulla copertina. Il rapporto che si è creato con chi mi ha letto è stato unico, ho sorriso, a volte pianto per quello che mi scrivevano. È un libro che parla di una donna che è raccontata con i suoi fallimenti ma che è da supporto ai suoi uomini. Qualcuno mi ha detto che più che una Penelope, la protagonista è un Ulisse rovesciato. È forte quando meno te l’aspetti.

Anna è complice degli uomini che incontra, li sostiene, li porta in alto nelle carriere. Una storia che riprende l’idea della grande donna dietro un grande uomo.

È un cliché che abbonda nella letteratura italiana. Quello che esce fuori dalla storia è che una persona apparentemente fragile tiene in pugno la sua situazione affettiva e condiziona il successo di chi le sta accanto. Il romanzo è piaciuto perché è la storia di una donna che si riprende il potere affettivo. Tutto parte da lì, specie in una società dove l’affermazione appartiene ancora ai maschi, alla faccia di tutte le rivoluzioni che ci sono state. Non volevo scrivere di una rivendicazione di stampo politico o sociale ma soffermarmi sul potere relazionale che hanno le donne. Da lì parte la conquista paritaria, dove ti viene riconosciuta una forza e un valore.

Si ricorda un complimento che l’ha colpita maggiormente?

Sono stata felice di avere la supervisione di Andrea Pinketts, che è un faro nell'ambiente letterario italiano. La cosa in assoluto di più che mi ha colpito è stata una definizione:  il libro è che come un saggio sull’amore. Il saggio ovviamente è dimostrativo, è un oggetto di studio ma evidentemente raccontare le relazioni spinge poi i lettori a chiedere consigli su come comportarsi con il fidanzato. Mi sono sentita investita di un ruolo. Secondo me chi scrive ha un ‘ottica e chi legge trova cose inaspettate che non sempre coincidono con l’intenzione dell’autore. E questa è la cosa eccezionale dell’opera, del quadro del film.

In alcuni passaggi la storia cede a descrizione glamour, ambientata tra Milano e Parigi. È una condivisione o una riflessione sulla società dell’apparire?

L’aspetto glam della moda e dell’effimero, del femmino come lo chiamava Pascoli, è una fonte di riflessione. Alle lettrici piace la descrizione di un sogno, è un’evasione che crea interesse. Viviamo in una società dell’immagine ma la bellezza che racconto induce a un ripensamento, perché la mia protagonista non conquista gli uomini con la bellezza, non è canonicamente bella. Mi chiedo se è davvero bello quello che appare o il diversamente bello è bello come il veramente bello? Un’ottica del genere è anche un’iniezione di fiducia per le donne, un incitamento a non demordere, ad affermare il “glam d’anima” oltre che dei vestiti.

In un anno e più di incontri e commenti, che idea si è fatta del sentire comune delle persone? Che Italia è?

Dal mio punto di vista c’è sempre voglia di leggere per svagarsi, sognare, la letteratura serve a rilassarsi e anche a far pensare, a mettere in moto una ricerca. L’altro giorno ho ricevuto un messaggio con una citazione di una frase che avevo scritto. Me la sono dovuta andare a rileggere per verificare che davvero l’avessi scritta io. I libri sono anche questo: una volta scritti non ti appartengono più ma si devono lasciare andare dolcemente, come i figli quando crescono.

Anche lei ha figli.

Si, Eugenio che ha 20 anni ora è andato a studiare politiche internazionali in Danimarca. E io ci sto male e devo metabolizzare.

Sta pensando al prossimo libro?

Dico come  Massimo Troisi dopo Ricomincio da Tre: il secondo non lo faccio, mi fa paura. Passo direttamente al terzo.

28/11/2012
Christian D Antonio - c.dantonio@jobedi.it
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